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Louis Dorigny attribuibile a
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Louis Dorigny attribuibile a

Erminia tra i Pastori

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Louis Dorigny attribuibile a

Erminia tra i Pastori

Olio su tela. La grande tela racconta un episodio tratto dalla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, in cui la giovane Erminia, principessa d'Antiochia segretamente innamorata di Tancredi, assiste al ferimento in duello dell'amato. Spinta dall'amore indossa quindi le armi della guerriera Clorinda, sua intima amica, e di notte esce per raggiungere l'amato Tancredi e curarlo. Ma al campo cristiano un raggio di luce lunare la illumina e, scambiata per Clorinda dalle sentinelle, è costretta ad una fuga precipitosa: capita così in un villaggio abitato da pastori che vivono lontani dalla guerra in uno spazio idilliaco, dove chiede e ottiene di essere ospitata per qualche tempo nella speranza (vana) di dimenticare il suo amore infelice. L'opera, già attribuito a Carlo Loth, è piuttosto rimandabile alla produzione di Louis Dorigny, il pittore parigino che visse a lungo in Italia, a Roma, a Venezia e infine definitivamente a Verona, ove ottenne numerose commesse da veronesi ma anche da committenti veneti e lombardi, estendendo la sua attività di affrescatore da Bergamo sino a Udine. A Verona fin dall'inizio del secolo, le preferenze in campo pittorico andavano verso un linguaggio classicistico complesso nella composizione, ma pacato ed elegante, anche nelle grandi opere decorative. A questa pittura si uniforma il Dorigny, che in questa tela coniuga l'equilibrato classicismo di Simon Vouet (di cui era nipote) con i chiaroscuri appresi a Roma e la pacata eleganza veneta. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice di inizio '900.

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Coppia di Mori Veneziani Reggicero
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Coppia di Mori Veneziani Reggicero

Venezia Prima Metà XIX Secolo

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Coppia di Mori Veneziani Reggicero

Venezia Prima Metà XIX Secolo

Coppia di mori reggicero poggianti su basi, Venezia prima metà XIX secolo. Mori intagliati e laccati, abbigliati con veste e calzari dorati a mecca e variopinti; con il braccio alzato sorreggono una base per cero, mentre nell'altra impugnano un piccolo piatto. I due mori poggiano su altrettante basi ottagonali laccate, decorate da elementi marmorizzati e da coppia di protomi leonine intagliate e dorate. Piatti non coevi.

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Dipinto Festa Galante nel Parco
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Dipinto Festa Galante nel Parco

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Dipinto Festa Galante nel Parco

Olio su tavola. Scuola francese. Metà XVIII secolo. La scena raffigura una festa all'interno di un parco cintato da mura con varchi ad arco che si aprono sulla campagna, e ornato sulla destra con un'anfora su colonnina e al centro, dietro le figure, con una fontana zampillante, con statue di putti e conchiglie. Due coppie di dame e gentiluomini riccamente vestiti si intrattengono galantemente, circondati dalla servitù; uno degli uomini sta suonando il violino, accovacciato davanti alla sua dama che, affiancata dalla damigella, segue la melodia sullo spartito retto dal moretto al suo fianco, mentre due musicanti accompagnano la suonata con il flauto e un mandolino; l'altra coppia, in atteggiamento di dialogo intimo, ascolta sulla sinistra, mentre sulla destra anche il cacciatore che rientra dalla caccia osserva la scena. Il dipinto è presentato in cornice in stile.

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Dipinto di Maximilian Pfeiler
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Dipinto di Maximilian Pfeiler

Natura morta con Uva, Fichi, Melagrana e Pesche

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Dipinto di Maximilian Pfeiler

Natura morta con Uva, Fichi, Melagrana e Pesche

Olio su tela. Firmato “Max. PF.” sulla cornice superiore del capitello. La natura morta è composta da uva, melagrana e pesche poste su un capitello, nella composizione è presente anche un vassoio d'argento; sullo sfondo un paesaggio con alberi e rovine, sulla sinistra si intravvede un angolo di cielo ceruleo, appena velato da nuvole. Maximilian Pfeiler si affermò per le sue nature morte in cui, a fare da sfondo ai fiori e ai frutti, collocava un frammento architettonico, introducendo già quel gusto verso le rovine antiche che si consoliderà a pieno nel XVIII secolo. Il dipinto è stato ritelato e restaurato (piccole ridipinture). E' presentato in cornice in stile.

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Dipinto dell'ambito di Giuseppe Maria Crespi
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Dipinto dell'ambito di Giuseppe Maria Crespi

Maddalena penitente,1750 ca.

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Dipinto dell'ambito di Giuseppe Maria Crespi

Maddalena penitente,1750 ca.

Olio su tela. La figura della Maddalena è qui rappresentata, come da tradizione, con lunghi capelli rossi; con gesto di dolorosa dedizione fissa lo sguardo sul crocefisso, che tiene con la mano sinistra premuta contro il braccio destro, questo a sua volta ripiegato in segno di raccolta penitenza. Tutto il corpo è reso con una splendida torsione contrapposta, che ha l'effetto di far avvertire allo spettatore la tensione del momento vissuto dalla santa. Alla sua sinistra è visibile il teschio, suo attributo tradizionale, e sullo sfondo s'intuisce la sagoma della grotta in cui è collocata. La parte del corpo emerge, grazie all'intensa luminosità delle braccia, collegata alle sfumature rosso ocra dei capelli e del volto, accentuando anche così il carattere erotico della scena, ricordando la pittura esuberante di Rubens, che grande influenza ebbe sull'opera di Crespi. Quest'accattivante e piacevolissima figura della Maddalena segue la tendenza ampiamente diffusa nel '600 e '700 di raffigurare i santi con un sottofondo di umana sensualità, rivelando la preferenza dei committenti per temi sacri intrisi di elementi profani. Il dipinto, restaurato e ritelato, è presentato in cornice di fine '800- inizio '900.

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Coppia di Dipinti su Ardesia
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Coppia di Dipinti su Ardesia

La Maddalena penitente e San Giovanni Battista

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Coppia di Dipinti su Ardesia

La Maddalena penitente e San Giovanni Battista

Olio su ardesia. Sono qui proposti due esempi di pittura a olio su pietra, genere pittorico che a cavallo tra '500 e '600 i ebbe particolare fortuna nella Repubblica Veneziana, nella sua forma di pittura ad olio su lavagna o pietra di paragone. La scelta di una pietra così scura come sfondo non è legata solo a motivazioni pratiche (la vicinanza delle miniere bresciane e della Val Brembana), ma, come ben dimostrano le nostre due opere, l'emergere delle figure dal fondo scuro alla luce risponde in pieno anche alle nuove esigenze della pittura del tempo, che nel clima della Controriforma, tendevano ad esprimere non più solo le certezze esistenziali idealizzate del pieno rinascimento, ma anche le ansie e l'aprirsi a nuove fasi, tendenti già con Tintoretto a una maggiore attenzione al reale ed ai contrasti luministici, per poi sfociare in modo travolgente nelle ricerche seicentesche fortemente giocate proprio sul binomio contrapposto luce-ombra. Le due opere qui presentate ben rientranti nella produzione di area veneta dei primi decenni del '600, propongono due figure di santi, entrambi eremiti, collocate su uno sfondo naturalistico scuro, appena visibile. La figura della Maddalena emerge dall'oscurità, appoggiata a seguire la curva del supporto lapidico; è raffigurata volta con aria interrogativa verso il buio, come in atteggiamento di ascolto, la mano sinistra alzata e l'altra appoggiata al “memento mori”egregiamente scorciato. Davanti a lei un flagello ed il vaso d'unguento. Dipinto en pendant, san Giovanni Battista è rappresentato giovinetto, con un agnello ai suoi piedi, in mano la croce astile con il vessillo “ecce agnus dei”, mentre con la mano destra attinge alla fonte d'acqua, richiamando l'episodio che lo vedrà battezzare Gesù Cristo. In entrambi i dipinti le figure spiccano in modo forte e incisivo grazie al nero che caratterizza la placca di ardesia su cui sono raffigurati. I due dipinti, di formato ovale, sono presentati in cornici lignee nere, di fine '800.

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Dipinto Cristo e l'Adultera
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Dipinto Cristo e l'Adultera

Scuola fiamminga XVI Secolo

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Dipinto Cristo e l'Adultera

Scuola fiamminga XVI Secolo

Olio su tavola. Scuola fiamminga del XVI secolo. L'opera riporta alla base una targhetta attributiva a Lambert Van Noort (1520 -1571), giustificata dalla vicinanza ai suoi modi pittorici che si riscontra nei volti di Gesù e della Maddalena, ma non confermabile per le altre parti del dipinto. L' opera racconta l'episodio del Vangelo di Giovanni in cui gli scribi e i farisei portarono da Gesù una donna accusata di adulterio, per mettere alla prova la sua osservanza della legge di Mosè, che prevedeva la lapidazione. Ma Gesù, chinatosi a terra, si mise a scrivere con il dito nella polvere, poi sollecitato, pronunciò le parole "Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra" , salvando la donna e successivamente perdonandola. La grande scena è gremita da un folto e serrato gruppo di personaggi. Gesù al centro, è l'unica figura china per terra, estraniato dal resto del gruppo e fisso nel suo gesto di scrivere con un dito; in piedi dietro di lui, con un preciso allineamento verticale del suo viso con quello del Cristo, vi è la donna accusata, che si copre il corpo con il mantello osservando il gesto di Crsito, mentre attende la sentenza; tutto intorno gli scribi, i farisei, alcuni soldati, che invece parlano animatamente tra loro, si agitano, si confrontano indicando ciò che Gesù sta facendo. Il soggetto fu ampiamente rappresentato nella pittura fiamminga, con modalità interpretative differenti. Se in questo dipinto la scuola fiamminga si percepisce bene nei volti dai tratti duri e nei corpi piuttosto rigidi nei movimenti degli scribi e dei farisei, così come nella rappresentazione dell'edificio di sfondo e nella meticolosa raffigurazione dei calzari in primo piano destra, le due figure di Gesù e della donna risentono invece dell' influenza italiana, che addolcì i tratti dei visi, diede ai movimenti del corpo una maggior compostezza e leggiadria, e con l'aiuto di un colore più luminoso li fece risaltare in mezzo alle altre figure. La tavola del dipinto è stata sottoposta a restauro e parchettata nella prima metà del '900. Il dipinto è presentato in cornice antica adattata.

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Disegno di Claudio Bravo Camus
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Disegno di Claudio Bravo Camus

Chiquito Futbolista de Tanger 1982

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Disegno di Claudio Bravo Camus

Chiquito Futbolista de Tanger 1982

Sanguigna su carta. Firmato e datato in cifre romane in basso a destra. In alto a destra il titolo. Claudio Bravo Camus è stato un pittore cileno affermatosi soprattutto per le composizioni (in particolare i pacchi) e i ritratti iperrealistici, tra cui quelli di eminenti personaggi politici. Considerato a tutta ragione uno dei più grandi maestri dell'iperrealismo, Claudio Bravo ha rincorso nella pittura la fotografia, ma partendo sempre dall'osservazione diretta degli oggetti stessi: "Gli occhi vedono molto più della fotocamera: mezzi toni, ombre, cambiamenti minuti di colore e luci", ha dichiarato. Il ritratto qui presentato, quello di un noto giocatore di calcio marocchino, emana un realismo minuzioso e mimetico, in particolare nello guardo dell'uomo; è stato realizzato negli anni in cui l'artista visse a Tangeri, ove si era rifugiato per sfuggire alla dittatura franchista. E' presentato in cornice.

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Mentore Silvani
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Mentore Silvani

Paesaggio Innevato con Figure 1872

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Mentore Silvani

Paesaggio Innevato con Figure 1872

Olio su tela. Firmato, datato 1872 e localizzato Parma in basso a destra. E' un grande paesaggio invernale di forte impatto scenico, che ben si inserisce nel tradizionalismo scenografico proprio della pittura di Mentore Silvani, artista nativo di Traversetolo (Parma), pittore paesaggista ma noto anche come scenografo. Nella scena, spruzzata del bianco di una breve nevicata che crea quella tipica atmosfera invernale rarefatta e silenziosa, tra alberi spogli e secchi, si snoda una strada sterrata percorsa da un viandante; a destra una costruzione diroccata con il lavatoio ove attinge acqua una donna; al centro una colonnina su cui è montata un'immagine sacra. Formatosi nella sua città natale, il Silvani partecipò alle esposizioni dell'Incoraggiamento di Parma a partire dal 1864 , ed è prevalentemente nella sua città che si ritrovano oggi le sue opere (presso il Comune di Parma, la Galleria Nazionale , il Liceo artistico Paolo Toschi) ; espose peraltro anche a Milano (1872) e a Firenze (1875). Formatosi come scenografo alla scuola di Gerolamo Magnani, il Silvani svolse tale incarico a Parma ma anche a Venezia a partire dal 1871. La sua produzione pittorica, che annovera paesaggi prevalentemente rurali della campagna parmense, è sempre caratterizzata dalla fedeltà al dato reale. L'opera qui proposta è presentata in cornice coeva.

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Dipinto su Tavola Annunciazione XVI secolo
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Dipinto su Tavola Annunciazione XVI secolo

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Dipinto su Tavola Annunciazione XVI secolo

Olio su tavola. Scuola centro-italiana della seconda metà del '500. La sacra scena dell'Annunciazione vede le due figure protagoniste collocate in primo piano in un interno che corrisponde alla stanza di Maria. La giovane donna è seduta davanti ad un piccolo scrittoio ligneo, sorretto da figure di angeli, su cui poggiano il libro di preghiere e un vasetto con fiorellini; ai suoi piedi, il cestino del lavoro di cucito. Maria ha il corpo parzialmente rivolto all'indietro, in un movimento contorto, quasi di tentativo di fuga, come se volesse allontanarsi dall'altra figura, quella dell' Arcangelo Gabriele. Costui sta in piedi sulla destra, maestoso ed elegante, con una mano che regge un giglio e l' altra che indica verso l'alto sopra di lui, dove sta uscendo da un varco di luce la colomba bianca, simbolo dello Spirito Santo. Sullo sfondo, alte colonne con drappeggi che sormontano la pedana su cui poggia il letto di Maria. La composizione rimanda, nello stile figurativo e nelle scelte cromatiche, alla pittura già manierista delle scuole del centro Italia: in particolare vi è un forte concordanza di stile e composizione con alcune opere dello stesso soggetto del pittore Bastiano Vini Detto Bastiano Veronese (1525/1530 - 1602), che dal 1540 circa visse e lavorò a Pistoia. E' in tale città che si ritrovano alcune sue Annunciazioni: in particolare quella nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie (una pala d'altare di dimensioni superiori ai due metri di altezza), mostra evidenti rassomiglianze sul piano formale e compositivo con quella qui presentata. Vi è concordanza nell' ambientazione della scena sacra: una stanza, sul cui sfondo è una tenda che copre parzialmente un letto, arredata con gli elementi essenziali alla narrazione, il leggio e la sedia riccamente ornati con cariatidi di putti o angioletti che paiono intagliati nel legno. Corrisponde, anche se con lievi variazioni, lo schema compositivo, con le due figure che si dispongono "a fregio" sullo stesso piano di posa, e corrispondono altresì i tratti somatici della Vergine e dell'Arcangelo. Si differenzia invece il pavimento, che, mentre è omogeneo nella nostra tavola, in quella pistoiese si presenta con cromie alternate a scacchiera, ma pare che tale disegno del pavimento sia stato aggiunto in un periodo successivo, in occasione del rifacimento dell'altare nel 1637-1639, in pendant con quello di altra opera dello stesso Sebastiano Vini nella stessa chiesa, una Sacra Conversazione. Pare quindi piuttosto certo che la nostra tavola sia stata dipinta guardando all'opera di Bastiano Veronese, probabilmente su richiesta specifica del committente, e prima della variazione del pavimento, quindi collocabile nella seconda metà del XVI secolo. Il dipinto è stato sottoposto a restauro, con applicazione di due rinforzi al retro della tavola. E' presentato in cornice di fine '800. (Riferimento per la pala d'altare di Pistoia: Catalogo dei beni culturali https://catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0900035285)

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Statua Allegoria dell'Autunno in Marmo Bianco
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Statua Allegoria dell'Autunno in Marmo Bianco

Italia Metà XIX Secolo

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Statua Allegoria dell'Autunno in Marmo Bianco

Italia Metà XIX Secolo

Statua femminile in marmo bianco statuario, personificazione allegorica dell'autunno, Italia metà XIX secolo. Figura intera vestita all'antica con toga, copricapo di pampini e grappoli d'uva, questi ultimi posti anche lungo il fianco sinistro; con il braccio destro regge frutti autunnali. Poggiante su base circolare. Piccole rotture.

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Scultura Angelo Reggivaso Barocco
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Scultura Angelo Reggivaso Barocco

Lombardia Inizio XVIII Secolo

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Scultura Angelo Reggivaso Barocco

Lombardia Inizio XVIII Secolo

Scultura di angelo reggivaso barocco in legno di tiglio intagliato e completamente ridipinto di nero in epoca successiva, Lombardia inizio XVIII secolo. La figura, abbigliata con veste ornata da lambrecchini, è posta su basamento sorretto da quattro piedi ferini. Gli assaggi eseguiti hanno riportato alla luce le cromie originali.

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Dipinto di Giovanni Muzzioli
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Dipinto di Giovanni Muzzioli

Bacco Ebbro

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Dipinto di Giovanni Muzzioli

Bacco Ebbro

Olio su tela. Firmato in basso a destra. Il dio è raffigurato in piedi a riempire la scena, rivestito solo di un telo che gli cinge i lombi e da foglie d'edera, poste sui fianchi e sulla testa, mentre regge in una mano un calice; lo sguardo è vacuo e stralunato. Alle sue spalle, un putto semisdraiato gioca con dell'edera. All'intorno, nuvole bianche, così come è bianco il terreno d'appoggio, con sprazzi di cielo azzurro e un cespuglio verde a creare gli unici contrasti. Al retro dell'opera è presente etichetta "Mario Galli Collezione d'Arte", con numero di catalogazione 64 e scritta autografa dell'artista. L'opera ben rappresenta la pittura di questo artista modenese d'origine, ma che si formò artisticamente prima a Roma poi a Firenze, ove trascorse gran parte della vita. La sua ricca produzione propose inizialmente soprattutto soggetti storici, ma poi si volse anche al ritratto e infine al paesaggio: la sua unicità si riconosce nella capacità di spaziare dal soggetto storico, spesso collocato in ambientazioni ricavate dall'antica Pompei, al naturalismo di stampo macchiaiolo, del suo secondo periodo, nel quale il Muzzioli ricercava una significativa percezione dell'atmosfera e della luce in soggetti ispirati all'ambiente rurale toscano, spesso collocati nell'antichità. In quest'opera, un ritratto di un personaggio mitologico, traspare fortemente l'intento luministico dell'artista, la ricerca dell'effetto della luce che gioca nei corpi nudi del dio e del putto, a sfumare poi nello sfondo. L'etichetta della Galleria d'arte riconduce al fiorentino Mario Galli (1877 -1946), scultore che fu anche importante collezionista di opere soprattutto di macchiaioli. L'opera presenta un cretto importante ed è stata ritelata. E' presentata in cornice in stile.

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Disegno di Fausto Melotti
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Disegno di Fausto Melotti

Progetto per Scultura

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Disegno di Fausto Melotti

Progetto per Scultura

Matita su carta filigranata. Firmato in basso a sinistra. Il disegno è corredato di autentica su foto dell'Archivio Fausto Melotti, con codice DIS 36 015, riportante i dati dell'opera. Fausto Melotti, fu un artista poliedrico e molto prolifico e risulta quasi impossibile legare la sua produzione ad una particolare tecnica o tematica, senza fornire una visione solo parziale della sua visione artistica. Le caratteristiche salienti che risultano costanti in Melotti sono il geometrismo, lo studio dell'astrazione, che lo porta ad utilizzare elementi realistici ma non accurati scientificamente, e il disporre gli elementi in modo che ricordino un ritmo musicale, un particolare che rimanda alla sua formazione da musicista Scultore, pittore, musicista, poeta, realizzò numerosi disegni progettuali per le sue opere. Il disegno ha rappresentato per lui un esercizio fondamentale, per trasfondere l' originale tratto grafico dai fogli di carta nelle sculture e nelle ceramiche. Le sculture per cui è maggiormente conosciuto sono costituite da elementi geometrici realizzati con metalli (ottone, ferro e oro) lavorati in filamenti sottili, dando vita a composizioni eteree, senza peso e quasi fragili. L'opera è presentata in cornice.

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Due disegni di Jean Cocteau
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Due disegni di Jean Cocteau

Tre Volti otto Foglie

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Due disegni di Jean Cocteau

Tre Volti otto Foglie

Gouache su carta. Al retro son presenti adesivi di provenienza da Asta Sotheby's con il nome dell'artista e il titolo originale "Three faces eight leaves". Si tratta di due disegni simili, con lo stesso soggetto seppur con piccole differenze, e colorati con tecniche diverse. Jean Cocteau fu artista poliedrico: scrittore, drammaturgo, commediografo, si dilettò anche di arti visive, amando sperimentare tutte le avanguardie del suo secolo. Jean Cocteau pubblicò il suo primo libro di disegni nel 1923, a soli 36 anni. In esso il poeta ha ritratto i suoi amici Raymond Radiguet, Pablo Picasso, Erik Satie, Francis Poulenc, ma anche numerose scene di vita quotidiana parigina, i balletti russi di Nijinski, allegorie, caricature, immagini poetiche. Cocteau si rivela un bozzettista pieno di talento, ma soprattutto un artista capace di cogliere l'essenza dei volti, dei comportamenti, delle debolezze umane. Opera in cornice.

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Dipinto di Paesaggio con Figure ed Armenti
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Dipinto di Paesaggio con Figure ed Armenti

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Dipinto di Paesaggio con Figure ed Armenti

Olio su tela. Scuola italiana del XVIII secolo. All'interno di un paesaggio piuttosto brullo, con rovine architettoniche sulla sinistra e cime innevate di sfondo a destra, transitano sul sentiero alcuni pastori, che conducono le loro greggi di mucche, pecore e capre. Nell' ambientazione paesaggistica nordica, la sfumatura rosata del cielo e il carattere pastorale della scena conferiscono quella atmosfera idealistica propria della pittura di paesaggio settecentesca, in cui prevaleva l' appagamento del sentimento più che l'intento di trasposizione realistica. Restaurato e ritelato, il dipinto è presentato in cornice in stile.

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Domenico Gargiulo attribuito a
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Domenico Gargiulo attribuito a

Paesaggio con Architetture e Figure

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Domenico Gargiulo attribuito a

Paesaggio con Architetture e Figure

Olio su tela. Il grande paesaggio è dominato da una imponente struttura architettonica a colonne affacciata sul mare, che occupa tutta la parte centrale della tela, mentre sulla destra si delinea una fortezza. La scena è poi animata da numerose figure di popolani intenti alle quotidiane attività: in primo piano a sinistra, sulla banchina, un gruppo di uomini attende al carico di numerose casse e bauli. Sul baule centrale, vicino al personaggio dominante al centro che pare dirigere le operazioni, è inserito il monogramma D.G. Questa sigla insieme alla modalità stilistica barocca, rimanda l'attribuzione a Domenico Gargiulo, nome d'arte del pittore napoletano Micco Spadaro (1609/1612 – 1675). Attivo prevalentemente a Napoli soprattutto nei due decenni a cavallo della metà del XVII secolo, il Gargiulo si affermò principalmente come paesaggista e soprattutto per aver documentato i tumultuosi avvenimenti della Napoli del XVII secolo (eruzioni, epidemie, la rivolta di Masaniello). La progressiva specializzazione nella rappresentazione di paesaggi o scene cittadine, affollate da figurine presentate con descrizioni minute e con attenzione verso la realtà sociale popolare, fecero sì che la sua committenza fosse prevalentemente di carattere privato, ricevendo commissioni da numerosi notabili napoletani, reggenti, cavalieri e ritrovandosi sue opere in tutte le più importanti collezioni napoletane dell'epoca. Tra i suoi maggiori committenti vi fu peraltro anche il grande collezionista fiammingo Gaspare Roomer, a cui il Gargiulo dovette la sua fortuna. Il Gargiulo inserì spesso nelle sue opere le sue sigle, ma raramente le datò; si è potuto stabilire la datazione della sua produzione solo grazie alla realizzazione di una serie di lavori per i monaci della certosa di S. Martino, avvenuta tra il 1638 e il 1646, tra le poche opere a soggetto religioso da lui realizzate ma le uniche a essere documentati con una certa precisione. La grande tela qui proposta è presentata in cornice in stile.

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Dipinto con Scena Mitologica
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Dipinto con Scena Mitologica

Amore e Psiche

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Dipinto con Scena Mitologica

Amore e Psiche

Olio su tela. Scuola nord -Italia del XVII secolo. La scena si rifà, con alcune variazioni ma molto vicina nelle dimensioni, ad una parte del grande affresco intitolato "Banchetto degli dei" nella Camera di Cupido ( o Camera di Amore e Psiche) di Palazzo Té a Mantova, grande raffigurazione di oltre nove metri realizzata da Giulio Romano con la sua bottega nel XVI secolo. La scena proposta (che a Mantova è collocata sulla destra del grande banchetto), vede Amore e Psiche sdraiati su un triclinio, mentre una piccola figura alata li incorona d'alloro e due ninfe lavano la mano di Amore; sullo sfondo a destra un gruppo di satiri sta sacrificando una capra all'ara di una divinità, mentre al centro, in lontananza, una città brucia. Il banchetto degli dei è il momento conclusivo del mito dei due innamorati, che, dopo molte prove e peripezie, ottengono il permesso di Venere per sposarsi. L'opera, restaurata e ritelata, è presentata in cornice antica.

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Carlo Antonio Crespi
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Carlo Antonio Crespi

Natura Morta con Fiori Frutta un Pappagallo e Cacciagione

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Carlo Antonio Crespi

Natura Morta con Fiori Frutta un Pappagallo e Cacciagione

Olio su tela. La grande composizione è ricca di numerosi elementi differenti: al centro campeggia una grande composizione floreale, di multiple varietà a colori vivaci; sulla sinistra dei fiori, poggiato su un capitello dorico, è appoggiato un pappagallino dai colori sgargianti e contrastanti con quelli spenti degli uccelli che giacciono sul piano sottostante, insieme ad alcune zucche e ad un vaso in peltro. Secondo l'esperto d'arte dr. Gianluca Bocchi (di cuisi allega expertise), l'opera è riconducibile alla produzione di Carlo Antonio Crespi, pittore attivo a Como intorno alla metà del XVIII secolo, della stessa famiglia Crespi a cui appartiene anche l'omonimo bolognese. Il Crespi comasco amava realizzare composizioni con i prodotti della fertile terra padana, in compagnia di piccoli animali, ceramiche o ceste in vimini, vasi di fiori, il tutto sullo sfondo di elementi architettonici barocchi o classicheggianti. Le sue tele, spesso di grandi dimensioni, riconducono al mondo delle ville e dei palazzi della campagna settecentesca lombarda. Il dipinto, restaurato e ritelato, è presentato in cornice in stile. Proviene da importante collezione (sul retro è citato il commendatore Arturo Stucchi, imprenditore comasco).

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Compianto su Cristo morto
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Compianto su Cristo morto

ARARPI0160106

Compianto su Cristo morto

Olio su ardesia. Dipinta su una spessa lastra di ardesia, la scena presenta il drammatico momento in cui Maria, circondata da un gruppo di pie donne, piange sul corpo del Figlio deposto dalla Croce: si abbandona drammaticamente tra le braccia delle due donne dietro di lei, mentre al suo grembo è appoggiato il corpo inerte del Figlio, sulla cui mano piange una terza donna; in alto, un gruppo di angeli che si affacciano dai cieli aperti, da cui scaturisce la Luce divina, partecipano del compianto. Maria è l'unica figura che indossa abiti dai colori vivaci, che contrastano con il colorito cereo del corpo del Cristo appoggiato al suo grembo, mentre le altre donne vestono abiti dai colori spenti, così come neutri sono i corpi degli angioletti. Le figure sono collocate su uno sfondo scuro, nel quale appena si intravvede l'apertura del sepolcro: l'effetto cromatico è reso grazie anche alla base pittorica utilizzata, l'ardesia, pietra conosciuta anche con il nome di “lavagna”, in quanto le più importanti cave di ardesia si trovano nei pressi della cittadina di Lavagna in Liguria. La modalità pittorica richiama le opere di Pietro Mera detto il Fiammingo, pittore originario di Bruxelles vissuto a cavallo del XVI- XVII secolo: attivo per lungo tempo a Venezia, lavorando dal 1570 al 1603 al servizio del cardinal d'Este, Mera fece ampio uso dell'ardesia quale supporto pittorico per alcune sue opere. Il materiale dal caratteristico colore scuro permetteva all'artista di creare intensi contrasti luministici e di dare risalto alle figure, raffigurate con una gamma cromatica accesa ed illuminate da brillanti tocchi di luce. In buone condizioni, il dipinto è presentato in cornice antica.

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